La Memoria è quel processo (psichico/mentale) mediante il quale un essere umano, ma ciò vale per ogni tipo di organismo vivente, acquisisce informazioni sull'ambiente e le elabora a livello di conoscenze. Parliamo di capacità che si acquisiscono fin dalla nascita e che vanno costantemente rinforzate nel corso del tempo e in caso di età avanzata anche ri-abilitate. Quando si parla di funzioni cognitive si parla di: attenzione, memoria, orientamento, linguaggio, abilità visuo-spaziali, abilità prassiche e funzioni esecutive.

Intorno a questo concetto hanno iniziato il loro dialogo Michelangelo Mammoliti e Francesca Collevasone, chef del Ristorante La Madernassa il primo, psicoterapeuta e docente all'Università di Torino, la seconda. Con il tempo quello che era un semplice confronto tra professionisti si è fatto progetto condiviso, nato dalla necessità di Michelangelo di capire come fare a creare dei piatti che fossero in grado di suscitare emozioni, attraversando dei ricordi ben precisi. 

L’inizio è stato un atto di fede. L’inizio è coinciso con l’analisi di alcuni piatti, frutto di determinate preparazioni, serviti a temperature corrette e capaci attraverso alcuni dei sensi stimolati (olfatto e tatto) di innescare dei ricordi precisi. 

Il confronto con la dottoressa Collevasone – ci racconta Michelangelo - mi ha portato a studiare il cervello umano, per capire il perché agisca in determinati modi. Mi sono ritrovato tra un servizio e l’altro ad avere per le mani dei trattati di neurogastronomia e in quelle pagine ho proiettato la mia ricerca, il mio modo di intendere la cucina, la memoria sulla quale vorrei riuscire ad agire in qualche modo. L’inizio è stato lo studio accademico di tutti quei sapori condivisi tra una moltitudine di persone”. 

L’obiettivo era chiaro, per lo meno ai due: cercare nel “bagaglio gustativo” dei sapori che fossero in grado di suscitare emozioni uniche e personali o perlomeno che potessero dare degli input alle persone, partendo da una semplice affermazione: “Quel piatto mi ha fatto ricordare un preciso momento della mia vita“. 

Cambia l’approccio, completamente. Cambia il punto di vista di chi è in cucina e in questo caso si prova ad andare ben oltre la riuscita o meno di un piatto che per quanto bello, buono e tecnico è sempre giudicato alla soggettività umana.

Fissato l’obiettivo da raggiungere si è passati alla fase operativa del tutto. Come applicare un simile concetto alla realtà di una cucina, fatta di una brigata di uomini e dal loro capitano.

Creando semplicemente delle ricette che fossero in qualche modo legate, in primis, alla memoria di chi le stava mettendo a punto, passo dopo passo. Ne è un chiaro esempio BBQ, piatto manifesto del menù estivo che ricorda le grigliate della domenica quando lo chef era ancora “solo” un bambino. “L’odore che vi arriva dal piatto, una volta servito è quello della costina di maiale caramellizzata, o meglio dire abbrustolita sulla griglia di papà. Ho usato il prosciutto di Cuneo per arricchire il piatto del sapore della parte proteica del maiale che nella pasta altrimenti non ci sarebbe stato. Parliamo di un piatto che ho scelto di inserire in carta per continuare ad essere legato alla mia famiglia, ai miei genitori. È una fuga nel ricordo la mia, è tornare a casa quando non sono a casa”: è questo il racconto che Michelangelo fa del suo piatto. 

Altro esempio tangibile del nuovo approccio messo a punto dallo chef in cucina è l’inserimento in carta del pre-dessert “L’essenziale per essere felici”. Un piatto che racconta di quei pomeriggi passati da Michelangelo a falciare il fieno nei campi dello zio. Al ritorno in casa, la ricompensa era pane, burro e cioccolato, il tutto leggermente intiepidito, dalla zia, nel forno a legna. A farla da padrone la semplicità degli ingredienti e un rito che sa di casa: “Per ricreare quel momento preciso, legato a doppia mandata al profumo del fieno – ci spiega Michelangelo - ho elaborato un bisquit al cacao e nocciola, con l’aggiunta di fava di Tonka, ricca di un enzima chiamato Cumarina, presente in molte piante in natura come il Melilotus Alba, l’Aspeurla odorosa, l’erba medica e via dicendo, utile a darmi il supporto necessario per legarmi alla mia infanzia. Il profumo è la base di questo dessert, fatto con una crema di nocciola tonda gentile delle Langhe, capace di ricreare il sapore del pane, grazie ad una crema di pane fermentato cotto in forno a legna”.

Abbiamo presentato un punto di vista, quello dello chef. Ora tocca a Francesca farci capire da dove arriva tutto questo: “Sono una psicoterapeuta, lavoro sui processi psicologici nei vari contesti e sono specializzata in medicina psicosomatica – ci racconta la dottoressa Collevasone - Sono una naturopata, mi occupo di alimentazione e con Michelangelo, abbiamo cercato di liberare la sua creatività per valorizzare e perfomare al meglio il suo punto di vista, sulla vita come sulla cucina”. 

Francesca si occupa di formazione in ambito sociosanitario, oltre che a Torino, insegna alla Scuola di Specializzazione in Psicoterapia di Milano e pubblica testi dedicati alla salute psicologica: “Sono andata a mangiare a Guarene, al ristorante La Madernassa, ben prima del riconoscimento della guida Michelin. Ci sono tornata anche dopo l’ambito riconoscimento, più volte. 

Ho conosciuto Michelangelo in un contesto ben preciso di ricerca e di crescita personale e professionale, percorso che ha portato poi alle intuizioni che emergono chiaramente oggi nei suoi piatti. Non è semplice vedere oltre, capire cosa c’è realmente dietro ciò che agli occhi della maggior parte della gente appare solo come un piatto o la carta di un menù. Faccio un passo indietro negli anni… Michelangelo lavorava intensamente, sapendo di voler prendere la Stella Michelin, ma per farlo aveva bisogno che tutto ciò accadesse in modo naturale, senza eccedere in rigidità, continuando sempre a camminare nella terra, la sua terra, con le mani sporche e la giacca pulita. La testa alta, soprattutto, nonostante la schiena alle volte fosse piegata”.

Agli spunti personali di Michelangelo, hanno fatto da cornice tecniche immaginative in cui le immagini dei suoi piatti si “agganciavano” idealmente ai ricordi della sua infanzia. Sono aspetti emersi spontaneamente, che trovano conferma scientifica in tutta una serie di ricerche della Neurogastronomia, la scienza interdisciplinare che esplora il comportamento del cervello in relazione al contesto gastronomico. Qui si studia come il cervello crei la percezione del gusto, e come questo si inserisce nella cultura dell'uomo e tutto è importante, l’olfatto, l’immagine del piatto, la composizione dello stesso, parliamo di estetica, di colori, è una vera e propria cassa di risonanza capace di stimolare un ricordo, una emozione, qualcosa che va ben oltre la consapevolezza di chi è convinto di mangiare solo un piatto: “In questo caso – aggiunge la dottoressa Collevasone – cerchiamo di capire come la cucina, l’elaborazione dei piatti, la gradevolezza o meno di una pietanza, come tutto questo possa essere connesso al cervello e alle memorie inconsce del soggetto”. 

Come si spiega tutto questo? Entra così in gioco il sistema limbico umano, deputato all’elaborazione dell’emozione e del ricordo: quando si annusa un piatto, il suo profumo attraversa nel nostro cervello una elaborazione di tipo limbico, e nel cervello l’area deputata alla elaborazione delle emozioni inizia il suo percorso.

Il quadro inizia ad essere chiaro, ma dove si vuole arrivare precisamente? 

L’idea di tutto il progetto è nata dall’esperienza concreta dello chef – aggiunge la dottoressa - e dal suo bisogno di “trasportare” dentro i suoi piatti aspetti di sé, della sua creatività in un gioco impressionistico di esperienze, tali da essere poi condivise e comunicate. Voleva che tutto questo seguisse i principi della neurograstronomia, voleva che il suo agire fosse in qualche modo scientificamente fondato, pur partendo dal “semplice” vissuto, non dimenticando mai che la creatività di un piatto è libera e spontanea e non può e non deve essere legata a delle immagini. Altra cosa: il meccanismo di cui stiamo studiando ogni ingranaggio è bidirezionale, nel senso che io posso avere un ricordo che porta ad un piatto, come anche un piatto che rimanda ad un ricordo”.

La creatività spontanea rimanda così ad un livello associativo ben preciso e ad un processo creativo che per essere compreso va studiato, rintracciato, analizzato sul nascere. Partiamo quasi sempre da una difficoltà interiore, dal buio che si fa luce, e da una trasformazione che lo chef Michelangelo Mammoliti ha fatto venir fuori in tutta la sua forza nei suoi piatti: “Quello che vi verrà servito – aggiunge la dottoressa Collevasone – non potrà essere mai scopiazzato, piuttosto sarà sempre il frutto di una creatività “pazza”, filtrata da quella spinta straformativa del “soggetto” che fa della personalità di Michelangelo il vero ago della bilancia di tutto questo nostro disquisire”.

Dottoressa… come vede lei Michelangelo? Qual è il suo pregio, il suo peggior difetto e quale consiglio si sente di dargli?

Michelangelo è vulcanico, determinato. Il suo peggior difetto è l’ostinazione, ma vissuta nel modo giusto potrebbe essere una buona carta da giocare. Consigli? Gli direi di continuare a coltivare i suoi sogni e il suo talento, perché è di questo che parliamo, quando si tratta di Michelangelo, di talento e per affinare certe doti non basta l’allenamento, e neppure la tecnica. Serve la dedizione e serve soprattutto non perdere mai di vista se stessi e i propri bisogni. Il resto verrà da sé”.

Il percorso dello chef Michelangelo Mammoliti, intrapreso a Guarene, all’interno del Ristorante La Madernassa è solo l’inizio di quanto si vuole arrivare a fare, di quanto ancora c’è da fare. Ed è un progetto che per risplendere di luce propria è stato condiviso, dalla proprietà in primis e a seguire da tutti i componenti di uno staff che non lascia indietro nessuno mai. Un progetto che si lega e si comunica insieme al suo territorio. Un progetto che per essere compreso appieno ha bisogno del lavoro di tutti, dai ragazzi di sala, che servizio dopo servizio saranno chiamati a raccontare quanto di buono c’è dietro ogni piatto, dalla brigata di cucina chiamata a reggere la forza di un punto di vista che esce un po’ dagli schemi ma mai dal mirino, dall’orizzonte che si sta osservando, dal contesto in cui ha visto la sua prima alba e continua a crescere, fiorire e mettere radici. Un progetto che non vuole essere mero discorso accademico ma vuole farsi sapere condiviso. Perché è questo che dovrebbe spingere la gente a venire La Madernassa: la voglia di sapere. Sapere cosa accade, come è nato tutto ma soprattutto sapere perché vi è appena venuta l’acquolina in bocca!